Per il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Emilia, i D.P.C.M. sono fonti secondarie del diritto, ed in quanto tali non hanno l’autorità necessaria per poter legittimamente limitare la libertà personale. In base a questo orientamento, non commette il reato di falso ideologico chi non dice la verità nell’autocertificazione (sentenza n.54/2021).
Ecco quale è stato il ragionamento seguito dal Giudice.
L’obbligo di compilare l’autocertificazione per giustificare lo spostamento è previsto dal D.P.C.M. del 08.03.2020. Questo decreto, che limita e vieta lo spostamento delle persone tra i territori in esso indicati, per il Giudice di Reggio Emilia è illegittimo, in quanto di fatto pone in essere un obbligo di permanenza domiciliare. La permanenza domiciliare, penalmente parlando, è una misura sanzionatoria o cautelare che limita la libertà personale della persona che ne è colpita, solo un giudice può irrogarla e per motivi specifici e predeterminati dalla legge.
Difatti, l’art. 13 della Costituzione prevede che “le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.“.
La norma costituzionale prevede inoltre quella che si dice doppia riserva, una legislativa ed una giurisdizionale: in parole povere, solo un provvedimento del giudice può incidere sulla libertà personale di un soggetto, e solo nei casi stabiliti dalla legge.
Seguendo quindi il ragionamento del Giudice di Reggio Emilia, un DPCM non può limitare la libertà personale perché è una norma regolamentare di grado secondario e non un atto normativo con forza di legge. Si legge nella sentenza richiamata che “siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che impone va la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento.”
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